Secondo quel che è l’ordine del tempo

di Giuseppe Guarino

 Tempus Fugit (Virgilio)

SECONDO QUEL CHE È L’ORDINE DEL TEMPO

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Introduzione

Questa riflessione che faccio è diversa dalle mie solite. Ogni tanto sento, però, questo bisogno di lanciarmi in una scrittura un po’ più complessa che riporti delle riflessioni un po’ più profonde, ma anche azzardate.

La mente umana ha bisogno dell’astrazione. Non è così per tutti. Ma per alcuni si. Così è per me, che da giovane ho amato la matematica pura, teorica, più di ogni altra materia.

Non l’ho studiata come avrei voluto, ho intrapreso altri tipi di studio. Ma il primo amore non si scorda mai – così dicono.

Sto leggendo un libro di Carlo Rovelli, il fisico teorico, intitolato “L’ordine del tempo”, pubblicato da Adelphi nel 2017. Bellissimo libro, scritto in maniera coinvolgente, nonostante la complessità dell’argomento.

Il libro trae in un certo senso ispirazione da una frase tratta dalle opere di Anassimandro, filosofo greco vissuto intorno al VI secolo a.C.: κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν (katà ten tu chronu tacsin), che Rovelli traduce: “Secondo l’ordine del tempo”. Ma che io invece azzardo a rendere come: “Secondo quello che è l’ordine del tempo”. Cambia poco, ma la scelta dell’ordine dei vocaboli mi induce a percepire una qualche lieve sfumatura che evidenzia una certa affermazione della “superiorità” del tempo sugli altri elementi della nostra realtà.

Leggendo il libro di Rovelli, ripensando al greco dell’affermazione di Anassimandro, e ricollegando il tutto con quello che so, penso e credo, ho pensato di attingere proprio alla meravigliosa lingua greca per elaborare al meglio le riflessioni che ho maturato.

Il greco ci offre delle belle opportunità anche stavolta. Quello che per noi è semplicemente “tempo”, in greco può essere

Chronos – χρόνος

Kairos – kαιρός

Aion – αιών

Chronos è oggettivo. È il tempo misurabile che scorre inarrestabile.

Kairos è soggettivo. È il nostro tempo, fatto di parti di chronos che ci riguardano, che sono vissuti in maniera soggettiva. Il kairos è un insieme di punti, o segmenti che viviamo, che sono nostri, parte della nostra esperienza quotidiana.

Il kairos come lo misuri? Non puoi oggettivamente quantificarlo. Puoi individuare quanto tempo è trascorso all’interno del chronos grazie ai mezzi che oggi disponiamo per poterlo misurare – anche se il nostro provare a misurarlo è un vano tentativo di volerlo imprigionare. Ma in realtà il tempo trascorre in maniera soggettiva da individuo a individuo, da circostanza a circostanza. Siamo lì a divertirci e ci sembra siano trascorsi solo pochi minuti – ed è questo il nostro kairos. Ma poi guardiamo gli orologi, per fare riferimento al chronos, e ci accorgiamo che è invece trascorsa oltre un’ora.

Infine vi è l’Aion, l’eternità che è sovrana su tutto, al di fuori del tempo, eppure definita da esso, perché è eterno ciò che non è limitato dal tempo, ciò che è sopra di esso e al di fuori di esso. Il chronos e il kairos sono avvolti e sovrastati dall’eternità. Per quanto entrambi potranno esistere, saranno meno di una parentesi nell’infinita assenza di tempo.

L’eternità è l’infinito aion nel quale si sommano il chronos, il freddo, implacabile trascorrere di ore, giorni, mesi ed anni, e tutti i singoli kairos, l’insieme degli attimi e delle circostanze che lo determinano. In parole povere l’aion racchiude in sé il chronos che è composto da innumerevoli singoli kairos. Se il chronos è una linea retta, il kairos sono i punti che la compongono.

Vediamo quali sfumature riusciremo a osservare per questi tre termini all’interno della letteratura biblica.

 

Chronos, kairos, aion.

Ho una mia idea sulla filosofia greca. L’ho maturata studiando la storia dell’antico oriente e dell’Egitto. Essa è molto bella ed affascinante, ma non nasce dal nulla – come accade di solito nella storia del progresso dell’uomo. Essa non inventa ma rielabora, riprende, “filosofie” ben più antiche, ma che non hanno avuto a loro disposizione un linguaggio altrettanto bello, sofisticato e strumento delle più teoriche astrazioni come il greco antico.

“Per tutto c’è il suo tempo, c’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo: 2un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato…” (Ecclesiaste 3:1-2).

Vediamo cosa ci dice la versione in greco di questo brano che può interessarci.

“Per tutto c’è il suo tempo (χρόνος, chronos), c’è un tempo (καιρὸς, kairos) per ogni cosa sotto il cielo: 2un tempo (καιρὸς, kairos) per nascere e un tempo (καιρὸς, kairos) per morire; un tempo (καιρὸς, kairos) per piantare e un tempo (καιρὸς, kairos) per sradicare ciò che è piantato…”

Vediamo come il greco pone rimedio alle limitazioni poste dalla nostra lingua e ci dona sfumature che, in questo caso, altrimenti non percepiremmo.

C’è un esempio in Giovanni che mi è saltato agli occhi.

Giovanni 7:1-6, “Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea, non volendo fare altrettanto in Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo.   Or la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina.  Perciò i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qua e va’ in Giudea, affinché i tuoi discepoli vedano anch’essi le opere che tu fai.  Poiché nessuno agisce in segreto, quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifestati al mondo”.  Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui. Gesù quindi disse loro: “Il mio tempo (καιρὸς, kairos) non è ancora venuto; il vostro tempo (καιρὸς, kairos), invece, è sempre pronto.”

Torniamo all’Antico Testamento. Sappiamo che la sua lingua originale era l’ebraico, ma quando venne tradotto in greco si posero le basi per quella che sarebbe stata la lingua del Nuovo Testamento.

Ecclesiaste 3:11, “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo (καιρὸς, kairos): egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità (αἰῶν, aion), sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta”.

La parola “eternità” che è qui nella versione greca aion – αἰῶν traduce l’ebraico olam – עוֹלָם, che spesso viene tradotto “per sempre”, preceduto ovviamente dalla preposizione ל.

Ho notato che la nostra mente di italiani e occidentali in genere ha la tendenza a favorire la schematizzazione di idee, concetti e anche l’uso dei vocaboli. Ma come la realtà è difficile, se non impossibile, da schematizzare in maniera rigida, lo stesso e anche di più si può dire del linguaggio che prova a definirla e rappresentarla – in un momento, contesto e circostanze ben precise.

Per questo i miei anni di studio, i vari lavori che ho fatto sia di traduzione sia di interpretazione, mi hanno insegnato quanto pericoloso possa essere dipendere troppo dall’etimologia delle parole. Queste sono così malleabili nelle mani di chi è costretto a trovare modi nuovi per esprimere concetti e idee…

Spesso traducendo dall’inglese all’italiano mi trovo in imbarazzo, per l’assenza di vocaboli appropriati, di punti di appiglio per far comprendere una lingua a chi conosce solo l’altra. A volte fra il punto d’inizio, il vocabolo o l’espressione originale, e il punto di arrivo, la lingua nella quale sto traducendo c’è un fossato talmente profondo e una distanza talmente incolmabile, che il punto di partenza rimane indistinto e indistinguibile.

Immaginate quando si è dovuto tradurre l’ebraico in greco. Una lingua caratterizzata dall’azione e dal pragmatismo, in una che sublima le potenzialità di astrazione del linguaggio umano. Questo è successo quando l’originale ebraico dell’Antico Testamento è stato tradotto nella versione greca comunemente chiamata LXX, Settanta.

Una volta fermato il linguaggio “religioso” ebraico nel greco della LXX, questo fu a disposizione degli autori del Nuovo Testamento. Qui divenne autonomo, prese vita, sebbene imprescindibile dalle sue radici ebraiche. Nelle mani di Paolo, Giovanni, Luca, assunse connotati sempre più definiti, universalizzando in maniera perfetta la realtà tutta ebraica della fede nel Dio unico.

“Avendo Dio variamente, ed in molte maniere, parlato già anticamente a’ padri, ne’ profeti, in questi ultimi giorni, ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, il quale egli ha costituito erede di ogni cosa; per mezzo del quale ha anche creato i secoli (τοὺς αἰῶνας – tus aionas – aion al plurale, preceduto dall’articolo e declinati all’accusativo)” (Ebrei 1:1-2).

La Nuova Riveduta traduce “i mondi”. Ecco che si fa avanti l’imbarazzo del traduttore di cui parlavo prima, quando non c’è una vera scelta giusta – e quindi una traduzione giusta – e una scelta sbagliata – quindi una traduzione sbagliata – ma soltanto un compromesso, nel cercare di rendere la frase il più comprensibile possibile la frase ai destinatari della traduzione, pur non potendo esprimere tutta la forza e il significato dell’originale.

In Matteo 12:32 leggiamo, “A chiunque parli contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo (ἐν τῷ νῦν αἰῶνι, aioni) né in quello futuro” (Nuova Riveduta).

La parola aion qui viene tradotta in maniera diversa dalle varie versioni.

né in questo mondo né in quello a venire” – Nuova Riveduta 2020.

né in questa età né in quella futura” – Nuova Diodati

né in questo secolo, né in quello futuro” – CEI.

Qual è la versione corretta? Ebbene, lo sono tutt’e tre, perché colgono sfumature diverse della stessa parola.

Perché questo brano è importante? Perché comprendiamo che viviamo in un αιών, aion, e che dopo il nostro ve ne sarà un altro.

Questo stesso concetto viene confermato dal vangelo di Marco.

“Allora Gesú, rispondendo, disse: «Io vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o padre o madre o moglie o figli o poderi per amor mio e dell’evangelo, che non riceva il centuplo ora, in questo tempo (ἐν τῷ καιρῷ τούτῳ, en to kairo tuto), in case, fratelli, sorelle madre, figli e poderi, insieme a persecuzioni e, nel secolo (ἐν τῷ αἰῶνι) a venire, la vita eterna (ζωὴν αἰώνιον, zoen aionion)” (Marco 10:29-30).

Quanto sia accurato il linguaggio di Marco sfugge purtroppo nella sua traduzione. Parla di questo tempo, il nostro kairos, quello nel quale viviamo. Menziona l’aion a venire, il secolo a venire, in armonia con il linguaggio di Matteo nel brano sopra citato. Chiude infine definendo la vita che avremo per sempre con il Signore con l’aggettivo aionion, che deriva proprio da aion. Questo viene utilizzato da Giovanni.

“Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio Unigenito affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia vita eterna (αἰώνιον, aionion)” (Giovanni 3:16).

Per descrivere la vita che non ha fine, quella vita che abbiamo perso quando siamo stati cacciati dall’Eden, Giovanni utilizza l’aggettivo αἰώνιον, aionion, che, come ho detto, deriva da αιών, aion. Nella versione ebraica del Nuovo Testamento la parola che viene utilizzata per rendere aion, αιών, è olam, עוֹלָם. E non avrebbe potuto essere altrimenti, perché di sicuro questo sarebbe stato il vocabolo in un eventuale originale ebraico di Giovanni, per descrivere come con l’intervento del Figlio di Dio la sentenza di Genesi 3:22 viene revocata.

In merito all’aion nel quale viviamo, Paolo mette in luce la triste realtà di chi ha messo sul trono questa generazione.

“il dio di questo secolo (τοῦ αἰῶνος τούτου, tu aionos tutu) ha accecato le menti di quelli che non credono” (2 Corinzi 4:4).

Alla fine del nostro αιών, aion, fanno riferimento due brani di Matteo, che in greco utilizzano la medesima espressione.

“E mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si accostarono in disparte, dicendo: “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente (τοῦ αἰῶνος, tu aionos)?” (Matteo 24:3 – Nuova Riveduta 2020).

“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente (τοῦ αἰῶνος, tu aionos)” (Matteo 28:20).

La fine del presente aion segnerà l’inizio del prossimo. Per questo Ebrei 1:1-2 dice che Dio ha creato tramite il Figlio i secoli (τοὺς αἰῶνας – tus aionas – aion al plurale, preceduto dall’articolo e declinati all’accusativo).

Consideriamo adesso il kronos, ovvero i kronoi che compongono l’aion.

“Quando giunse la pienezza del tempo (τὸ πλήρωμα τοῦ χρόνου, tu pleroma tu chronu), Dio ha inviato suo Figlio” (Galati 4:4).

Il tempismo di Dio è perfetto. Al momento giusto egli ha inviato suo Figlio.

Lo stesso concetto ribadisce l’epistola agli Efesini, ma, significativamente, con un’altra terminologia.

“facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, nell’amministrazione della pienezza dei tempi (εἰς οἰκονομίαν τοῦ πληρώματος τῶν καιρῶν, tu pleromatos ton kairon)” (Efesini 1:10).

In Efesini si parla di (τοῦ πληρώματος τῶν καιρῶν) kairos, riferendosi all’aspetto qualitativo del tempo; mentre in Galati, nell’espressione simile (τὸ πλήρωμα τοῦ χρόνου) si sottolinea l’aspetto quantitativo del tempo mediante l’utilizzo di chronos.

Era parte della predicazione del vangelo del regno:

“il tempo è compiuto (πεπλήρωται ὁ καιρὸς, peplerotai o kairos)” (Marco 1:15).

Kairos è utilizzato anche in Romani 5:6, proprio per mostrare la perfezione della tempistica divina nell’economia della salvezza.

“Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito (κατὰ καιρὸν, kata kairon)” (Versione CEI).

Mi piace questa versione che opta per tradurre κατὰ καιρὸν, katà kairòn, con l’italiano “al tempo stabilito”. Secondo me rende molto meglio l’idea dell’originale piuttosto che la scelta della Nuova Riveduta e della Nuova Diodati, “a suo tempo”.

Il linguaggio neotestamentario, come abbiamo anche visto, si ispira all’uso del greco della versione dei Settanta. Vi è un brano di straordinaria bellezza poetica nel libro di Isaia dove il linguaggio di Marco 1:15 o Romani 5:6 trova una perfetta continuazione, linguistica ma anche teologica.

“Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di devastazione e di rovina entro i tuoi confini; ma chiamerai le tue mura: Salvezza, e le tue porte: Lode.  Non più il sole sarà la tua luce, nel giorno; e non più la luna t’illuminerà con il suo chiarore; ma il SIGNORE sarà la tua luce perenne, il tuo Dio sarà la tua gloria.  Il tuo sole non tramonterà più, la tua luna non si oscurerà più; poiché il SIGNORE sarà la tua luce perenne, i giorni del tuo lutto saranno finiti. Il tuo popolo sarà tutto un popolo di giusti; essi possederanno il paese per sempre; essi, che sono il germoglio da me piantato, l’opera delle mie mani, per manifestare la mia gloria.  Il più piccolo diventerà un migliaio; il minimo, una nazione potente. Io, il SIGNORE, affretterò le cose a suo tempo” (Isaia 60:18-22).

“A suo tempo”, che potremmo anche definire “al tempo stabilito”, è nella Settanta reso come “κατὰ καιρὸν, kata kairon”, espressione che Paolo riprenderà alla lettera in Romani 5:6.

Proprio rimanendo nell’uso qualitativo del tempo, consideriamo due importanti affermazioni escatologiche.

“Gerusalemme sarà calpestata dai popoli, finché i tempi dei Gentili siano compiuti (πληρωθῶσι καιροὶ ἐθνῶν)” (Luca 21:24).

Il riferimento profetico di Gesù ai tempi dei Gentili, (καιροὶ ἐθνῶν, kairoi etnon) è particolarmente significativa. La trovate in tutti gli studi di escatologia e, in particolare, viene utilizzata per descrivere la successione dei regni descritta in Daniele 2 che lasceranno il posto al regno di Dio.

“Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo (καιρὸς, kairos) è vicino” (Apocalisse 22:10).

Considerando quest’ultimo brano, è doveroso puntualizzare che, al di là delle osservazioni linguistiche e degli approfondimenti nello studio della Parola di Dio, in questi giorni in particolare, quando ci troviamo immersi in un kairos che non ci porta a nessun altra conclusione se non che siamo prossimi alla fine di questo aion, conta davvero solo quanto saremo avveduti e se ci faremo trovare pronti nel giorno del ritorno del nostro Signore per regnare.

 

Conclusione

 La frase iniziale della nostra riflessione torna adesso ad avere un senso più vero alla luce di questi due versi della Bibbia. κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν, secondo l’ordine del tempo. Ma Dio stesso ha creato il tempo, Dio stesso ne ha perfetta padronanza e controllo, egli sa qual è il momento giusto affinché l’aion si manifesti nel chronos e soprattutto nel kairos nel quale siamo immersi noi mortali – stavo per scrivere “intrappolati noi mortali”.

Ed è per questo che dalla nostra posizione di assoluta impossibilità di percezione esatta dell’aion, che è anche l’olam ebraico, l’unica cosa saggia che l’uomo può fare è sottomettere l’estrazione greca, fine a se stessa, alla ineluttabile superiorità del pragmatismo ebraico. Parafrasando Isaia 40:31 direi, “Ma coloro che attendono il tempo stabilito dal Signore, sperando in Lui, certi che ciò che ha promesso Lui lo farà al tempo giusto, rinnoveranno la loro forza, si alzeranno in volo come aquile, correranno e non si stancheranno, cammineranno e non si affaticheranno”.

Fra gli scrittori il linguaggio mira a dare prestigio a se stessi o all’opera che si sta componendo. Nulla di male. Anche io amo la scrittura e la letteratura e nel mio piccolo, più per passione che per capacità, mi reputo uno scrittore.

Ma ciò che accade nella Bibbia, così anche in chi scrive sulla Bibbia, costituisce un fenomeno a parte.

Paolo, gli evangelisti, e gli altri autori sacri hanno messo la loro conoscenza linguistica al totale servizio del significato di ciò che stavano cercando di trasmettere al lettore, il Vangelo della nostra salvezza e gli autentici insegnamenti del Signore e dei suoi santi apostoli. Nella loro ricerca di precisione, nella ricercatezza del loro vocabolario, io vedo amore per Dio, per la Verità e per chi si avvicinerà a quelle pagine sacre per pervenire alla salvezza o per crescere nella fede del Signore Gesù.

Io stesso quando scrivo delle cose che riguardano la Rivelazione di Dio mi sforzo di utilizzare al massimo le mie capacità linguistiche per rendere onore ad un argomento tanto importante ed essere di benedizione per il lettore.

Vorrei che in questa prospettiva si comprenda quanto sia importante approfondire certi temi, il linguaggio originale della Bibbia; quanto faccia onore a chi ha l’ha scritta – mi riferisco agli autori umani ed allo Spirito Santo – e di quanta benedizione certi studi possano risultare.

29 marzo 2025

Giuseppe Guarino