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Chi è il mio prossimo?

di Giuseppe Guarino

La bellissima copertina di Charlie Brown che ho scelto per questo mio studio/riflessione ci introduce ad un argomento fondamentale della condotta di ogni cristiano.

 

Chi è il mio prossimo?

Sembra una domanda persino stupida. Invece è davvero importante e da non sottovalutare. Come spesso accade la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare. Con grande pazienza ed amore Gesù spiega, e ci spiega, con parole semplici concetti che, una volta illustrati da lui, diciamo nel nostro cuore: ma come facevo a non capirlo da me?

Dò per scontato che molte cose che dirò il credente le conosca già. Aggiungerò quindi qualche dato per approfondire il contesto nel quale Gesù insegna, così da dare qualcosa anche a chi di questa riflessione non avrebbe bisogno.

Luca 10:25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 

I dotti della Legge erano esperti nella Torah, i primi cinque libri della Bibbia, e in generale nell’insegnamento delle Scritture ebraiche.

La domanda posta a Gesù da un uomo di tale importanza sembra persino ridicola. Il testo ci dice che il fine è “metterlo alla prova”. Forse, però, dietro l’atteggiamento pubblico, tenuto per cercare di mantenere il proprio rango, da “rabbi a rabbi”, il dottore vuole veramente conoscere il pensiero di Gesù. Gli ebrei amavano gli scambi di idee ed il dialogo. Le diverse opinioni non erano motivo di divisioni insanabili. Notate infatti come leggendo il Nuovo Testamento è evidente che Sadducei, Farisei, Scribi, ecc… tutte fazioni con idee divergenti sull’interpretazione della Rivelazione, rimanevano comunque parte integrante del giudaismo del secondo tempio. Il modo in cui pone la domanda il “dottore”, la maniera in cui la fa propria, potrebbe anche essere il frutto di una profonda crisi personale e la richiesta sincera di una risposta che risolva il dramma di un’anima in tormento. Forse quest’uomo osserva tutte le clausole della Legge, si sforza di fare la volontà di Dio, è erudito, sa di esserlo, ma in qualche modo sente che questo non basta. Magari avrà sentito parlare di “vita eterna” da Gesù e vuole chiarimenti da parte sua e lo fa nascondendosi dietro una sfida per non sembrare debole agli occhi dei suoi correligionari. Come Nicodemo si nascondeva andando da lui di notte, forse quest’uomo si nasconde dietro un atteggiamento per non perdere il prestigio della sua condizione.

26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 

Gesù è l’uomo più saggio che sia mai esistito. Gli fa a sua volta una domanda, come per dire al suo interlocutore: lo sai che devi fare o in tutta una vita di studio non hai capito nulla? E il dottore deve rispondere per non perdere la faccia.

27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 

Il dottore della Legge cita appunto la Torah, i precetti dati da Dio a Mosè e da Mosè al popolo, quelli che conosce di sicuro a memoria.

Un importante appunto. Siamo abituati a considerare l’amore come un sentimento, qualcosa che proviamo. Nella Bibbia l’amore non è visto come il sentimento e basta. E’ un’azione. Amare il prossimo come noi stessi non implica di struggersi nel proprio cuore per il prossimo, ma il compiere azioni di amore verso gli altri come le compiamo quotidianamente verso noi stessi. La Bibbia non è un libro di filosofia e qui non si fa del romanticismo, ma l’insegnamento di Gesù mira al concreto, a cambiare sì dal di dentro l’uomo, ma affinché ciò si realizzi concretamente nella quotidianità dei rapporti interpersonali. Ad amare in astratto siamo bravi tutti!

28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». 

Spesso abbiamo le risposte ai nostri quesiti sotto il nostro stesso naso, ma: o non ce ne rendiamo conto o preferiamo ignorarle.

29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 

Il dottore della Legge non ha fatto una bella figura. Ha fatto una domanda con una risposta ovvia, una risposta che lui stesso ha fornito. In qualche modo adesso prova a salvare la faccia. Ma, alla fine di questo racconto, si renderà conto che sarebbe stato molto meglio per lui se non avesse posto la prima domanda e ancora di più questa seconda.

30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 

La via che collegava Gerusalemme a Gerico era piuttosto trafficata. Era un percorso importante. La classe sacerdotale che abitava a Gerico era una fazione opposta a quella gerosolomitana. Ma avevano anche loro a cuore la salvaguardia del patrimonio religioso ebraico. A questo fine i sacerdoti di Gerico e quelli del tempio crearono insieme un archivio proprio a Gerico delle Scritture e dei tesori del giudaismo per preservarli da eventuali pericoli scaturenti dalle forze di occupazione romana.

Questo spiega perché sacerdoti e leviti percorrano questa strada. Scrive Simone Paganini, dal quale ho appreso le informazioni che ho riportato sopra, nel suo “Gesù, Qumran e gli esseni”, p.79, che Gerico era una “città dominata dalla classe sacerdotale e dotata di una propria biblioteca”.

Gesù colpisce nel vivo il cuore del dottore della Legge. Non gli parla di un caso astratto, ma concreto. Secondo me il racconto di Gesù potrebbe addirittura non essere fantastico: nella sua onniscienza il Signore potrà aver riportato alla memoria un evento realmente accaduto del quale il dottore della Legge sapeva o era stato testimone oculare. Non sarebbe scritturalmente impossibile – vedi Giovanni 1:48.

Sacerdoti, Leviti, dottori della Legge, ecc… tutte persone importanti, coinvolte nel culto del tempio e nella preservazione della tradizione giudaica, dedite allo studio delle Scritture e osservanti la Legge. Nessuno si ferma a soccorrere un pover’uomo in difficoltà – e che difficoltà! Con le sue parole Gesù dà letteralmente uno schiaffo morale al dottore della Legge, quando dice:

33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 

Tutti quegli uomini religiosi, il fiore della cultura e del pensiero ebraico, coloro che dovevano illuminare Israele, avevano fallito nel primo e più importante comandamento della Legge mosaica. E chi si ferma a soccorrere l’uomo? Un samaritano.

I samaritani erano considerati dai giudei credenti di seconda categoria, non erano puri Israeliti.

Il popolo di Samaria, terra a nord di Giuda, era nato dopo la disfatta delle tribù di Israele nel 722 a.C. per mano degli Assiri. Questi, particolarmente crudeli, avevano deportato il meglio del popolo, come loro costume, e lasciato la parte più povera della gente nel territorio messo a ferro e fuoco. Questa terra era quindi divenuta oggetto di colonizzazione da parte degli stessi assiri che col tempo si mischiarono con i nativi, dando vita al popolo samaritano, mal visto dai giudei del sud.

(La piantina qui sopra è tratta da Wikipedia. Mostra i due regni di Giuda ed Israele, nati dopo la morte di Salomone. Israele cadde per mano degli assiri, appunto nel 722 a.C. Nei libri dei profeti leggiamo il perché di una così grande disfatta. Giuda a sud resistette alla furia assira, ma cadde per mano di Nabucodonosor, come leggiamo in Daniele, Geremia, ed altri libri dell’Antico Testamento, nel 586 a.C. Ma con la disfatta babilonese e l’illuminato regno del persiano Ciro, il popolo ebbe il permesso di ricostruire città e tempio di Gerusalemme. Così il regno di Giuda risorse letteralmente dalle proprie ceneri e, sebbene sottoposto ai vari grandi imperi del passato (persiano, greco e romano), riuscì a mantenere la propria integrità nazionale e religiosa. Fino al 70 d.C., anno in cui Gerusalemme ed il tempio vennero di nuovo rasi al suolo e cominciò la diaspora terminata nel 1948 con la costituzione dello stato di Israele.)

Immaginate il sentimento di quel dotto quando Gesù marchia come trasgressori della Legge le più alte cariche religiose del clero ebraico e plaudiva facitore della più importante delle Leggi bibliche un samaritano – l’ultima ruota del carro.

34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia».

“Prossimo”, come anche “ospite”, è una parola che può usarsi in maniera reciproca. Il samaritano era quindi il prossimo dell’uomo aggredito e viceversa, l’uomo aggredito era il prossimo del samaritano. Alla luce di ciò le parole di Gesù diventano ancora più significative: c’è uguaglianza nel nostro stato di esseri umani. Gesù infatti non chiede chi fosse il prossimo del samaritano o dei rappresentanti del clero, ma di colui che si era imbattuto nei ladroni.

Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

Noi “uomini di chiesa”, “religiosi”, noi che ci diciamo “cristiani” dobbiamo stare attenti a non trascurare di mettere in pratica l’amore per il prossimo. La nostra religiosità, il nostro sapere, la nostra reputazione, non può farci ritenere santi abbastanza, spirituali abbastanza, da mettere da parte il comandamento più importante della Parola di Dio. In generale, il nostro stato di grazia con Dio non deve farci inorgoglire, riempire di noi stessi, guardare agli altri dall’alto in basso, ma rendere più umili ed obbedienti. Se valiamo di più, o pensiamo di valere di più; se sappiamo, o pensiamo di sapere più degli altri, allora mettiamoci al servizio degli altri.

“Ma Gesú disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e coloro che esercitano autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma con voi non sia cosí; anzi il piú grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve. Chi è infatti piú grande chi siede a tavola, o colui che serve? Non è forse colui che siede a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve.” (Luca 22:25-27)

Il nostro testo continua così.

35 e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» 37 Gesù gli disse: «”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente“. 38 Questo è il grande e il primo comandamento. 39 Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso“. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».  (Matteo 22:35-40)

Quando nessuno ci guarda, quando nessuno sa, quando gli unici occhi sono quelli della nostra coscienza e di Dio, è quello il momento della verità.

Personalmente non ho la coscienza del tutto pulita, so di avere sbagliato molte volte. Molte altre volte ho fatto bene ed ho subito delle conseguenze negative per aver fatto del bene. Perché spesso fare bene significa esporsi, personalmente ed emotivamente.

A volte infatti facciamo bene e ci scontriamo con chi è ingrato, con chi sputa sulla mano che tendiamo per aiutare. A volte subentra una certa stanchezza e ci chiediamo persino se ne valga davvero la pena per certe persone. In questi giorni anche io – che sono un essere umano – mi sono chiesto quanto e se ne vale la pena, visti alcuni tristi recenti eventi personali.

Eppure, si. Ne vale la pena. Fare bene è sempre la scelta giusta. Farlo a prescindere, pensando che il bene lo meritano tutti fino a prova contraria – e non viceversa. E ciò anche se non avremo il plauso di nessuno: la gente oggi vi potrà marchiare come stupidi, ingenui nella migliore delle ipotesi, illusi; potrà persino immaginare che nascondiate un qualche secondo fine – in un mondo dove nessuno fa nulla per nulla; e chi avrà beneficiato del vostro intervento potrà persino dirvi apertamente: “chi t’aveva chiesto niente?” (a me è successo)

Eppure le parole di Giacomo echeggiano sempre nella mia mente.

La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo.” (Giacomo 1:27)

Per alcune persone sono buono, per altre cattivo; alla maggior parte sono indifferente. Ho fatto il meglio che ho potuto nella mia vita, ma non mi illudo di aver fatto bene o meglio di altri. Ma posso testimoniare la veridicità della Parola di Dio ed esorto ognuno a cercare con tutto il cuore di vivere una fede che si manifesti anche in atti d’amore verso il prossimo. Non per ricevere alcuna pacca sulla spalla da altri uomini, o perché si spera nella gratitudine futura di chi ha beneficiato del nostro intervento, ma perché il Signore ci comanda di fare così. Notate Infatti che nella storia riportata dal vangelo di Luca non ci viene detto cosa accade dopo; se l’uomo sia stato o meno grato al samaritano, se questi avrà mostrato la sua riconoscenza o, una volta stato bene, sia andato via senza nemmeno curarsi di dirgli un grazie. Ciò è omesso, credo, proprio perché il nostro comportamento verso il prossimo non deve essere finalizzato ad un guadagno, anche morale, né deve mirare a creare uno stato di debito in chi ha beneficiato del nostro aiuto. C’è un detto molto bello: “fai bene e scorda.” La nostra retribuzione è nascosta in Dio e si paleserà al momento opportuno, in questa vita o nella prossima, come ci assicurano le parole di Gesù. Il nostro compito è solo obbedire ed esercitare amore sincero e disinteressato per chi il Signore mette sul nostro cammino.

il Padre tuo, che vede nel segreto te ne darà la ricompensa palesemente.” (Matteo 6:4)

Per chiudere questa riflessione, in maniera un po’ inusuale, allego il link ad un brano di Keith Green, musicista cristiano, che negli anni ’80 scrisse questa bella canzone basata sulla storia raccontata da Gesù. Buona visione e buon ascolto.

 

 

Creazione, caduta ed opportunità di redenzione

di Giuseppe Guarino

Ogni libro della Bibbia mi piace per un motivo diverso. Perché ha qualcosa di diverso da dirmi ed insegnarmi. E lo fa ogni volta che lo rileggo o anche se solo lo medito.

Sto traducendo un libro sul racconto della Creazione che troviamo nel libro della Genesi. Se qualcuno mi considera un bigotto, fondamentalista ignorante, sappia che non mi sento tale. Asimov è uno dei miei autori preferiti. E, di recente, mi sono imbattuto e sto leggendo un meraviglioso libro di Stephen Hawking.

Se da una parte ciò può sollevare alcuni miei lettori, preoccuperà altri. Perché mi sono reso conto che gli individui dalla mente chiusa non stanno da una parte soltanto della barricata. Infatti, spesso, dalle mie parti, fa più vittime il fuoco amico che quello del nemico.

Detto ciò, spero di avere appianato la strada per una lettura che voglia essere rilassata, interessata e non critica ed ipercritica.

Leggiamo questo stupendo brano della Genesi che riguarda il nostro rapporto con Dio.

Genesi 2

15 L’Eterno DIO prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. 16 E l’Eterno DIO comandò l’uomo dicendo: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai».

Dio crea l’uomo e gli dà un luogo dove vivere e da curare.

E’ per questo che abbiamo bisogno di una dimora. E’ per questo che abbiamo bisogno di qualcosa e di qualcuno di cui occuparci e di qualcosa da fare. Un gatto riesce a stare seduto e non fare nulla. Un cagnolino è felice accanto al suo padrone. Gli uccelli volano nel cielo e si posano su dei fili e sono appagati. Ma noi esseri umani abbiamo bisogno di uno scopo. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci tenga occupati. Altrimenti, come diceva il Vate: “il tedio assale”.

E’ così che Dio ci ha creati ed è questo che ci conferma la Bibbia: non siamo così per caso, ma perché creati ad immagine e somiglianza di Dio.

Dio dà l’intera creazione all’uomo. Ogni cosa è a sua disposizione. Una sola cosa gli è negata, un solo frutto, un solo divieto gli viene posto davanti.

Perché Dio fa questo?

Perché proibisco a mio figlio di mettere le dita in bocca? Perché gli dico di mangiare cibi sani? Perché lo obbligo a studiare? Lo faccio perché lo amo. Lo faccio perché voglio il meglio per lui.

Ma Dio perché crea l’albero della conoscenza del bene e del male?

E’ implicito che creando l’uomo a Sua immagine e somiglianza, l’uomo ha capacità di capire, di scegliere. Quindi, piuttosto che abbandonarlo ad una sorte oscura, Dio rende la scelta di vita più facile possibile: relega la scelta sbagliata ad un singolo atto, a mangiare di un singolo frutto. Per mantenere la sua integrità l’uomo doveva semplicemente non fare una singola cosa. E’ come se ti dessi un castello con mille stanze e ti dicessi: “una sola stanza non puoi usare. E lo faccio perché quella stanza riserva pericoli mortali.” Ti spiego pure il motivo. Invece di pensare alle 999 che ti dò, però, ti crucci per l’una che per il tuo bene ti precludo?

21 Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; e prese una delle sue costole, e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Poi l’Eterno DIO con la costola che aveva tolta all’uomo ne formò una donna e la condusse all’uomo. 23 E l’uomo disse:

Questa finalmente

è ossa delle mie ossa

e carne della mia carne.

Lei sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo». 24 Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne. 25 E l’uomo e sua moglie erano ambedue nudi e non ne avevano vergogna.

Il verso 23 è la prima poesia d’amore mai scritta. Ed è stata scritta da un uomo innamorato, innamorato a prima vista!

Come mai Dio creò la donna da una costola dell’uomo?

La lezione di questo brano della Scrittura basterebbe a dimostrare quanto contrario sia all’ideale voluto da Dio il comportamento inqualificabile dell’uomo nei confronti della donna. Chi in tutta la creazione può meritare altrettanto rispetto da parte dell’uomo se non la donna, che viene proprio da lui? E se viene dalla sua costola – avrete sentito dei predicatori ed insegnanti della parola già dirlo – è perché  è stata creata per stare accanto all’uomo. Né sopra, né sotto, ma accanto!

L’uomo e la donna vivevano in uno stato di purezza morale e intellettuale. Come dei bimbi, non avevano alcuna vergogna della loro nudità, nessuna malizia era entrata nel loro cuore. Essi vivevano una vita produttiva in comunione con il loro Creatore, godendo della felicità personale e di coppia. Chissà quale meraviglia di stato doveva essere il loro. Come anche oggi accade, quando tutto va bene e tutto fila liscio deve venire qualcuno a sfasciare tutto.

Genesi 3

1 Or il serpente era il più astuto di tutte le fiere dei campi che l’Eterno DIO aveva fatto, e disse alla donna: «Ha DIO veramente detto: “Non mangiate di tutti gli alberi del giardino”?». 2 E la donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; 3 ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino DIO ha detto: “Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete”». 4 Allora il serpente disse alla donna: «Voi non morrete affatto; 5 ma DIO sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come DIO, conoscendo il bene e il male».

Da altri brani della Scrittura sappiamo che il serpente altri non è che il nemico delle nostre anime, colui che è Satana e Diavolo. Le sue parole sono astute, mischia sapientemente, come fa anche oggi, verità a bugia; anzi, tanta verità riesce ad inquinarla persino con una sola menzogna, insinuando il tarlo del dubbio nella mente umana.

Questa settimana il mio pastore ha predicato su parte di questo brano biblico ed ha detto una cosa che mi ha davvero colpito. Non so quanto possa essere in tema con la nostra discussione – lo era con la sua predica – ma è davvero molto interessante come concetto e voglio riportarlo: dov’era l’uomo quando tutto questo succedeva? Il nostro – parlo agli uomini – ruolo di custodi delle cose che Dio ci affida dobbiamo prenderlo seriamente. Dobbiamo essere noi uomini a proteggere, salvaguardare e custodire saggiamente la donna – per alcuni aspetti più debole di noi. Chiusa parentesi.

Il serpente compie la sua opera. Le sue parole insinuano quel dubbio che è in ogni uomo: ma il comandamento di Dio è davvero per il mio bene o è solo per impedirmi di godere di quest’altra esperienza, di godere pienamente la mia vita? In parole povere, la donna dubita dell’amore di Dio e dello scopo per il quale Dio proibisce il frutto, cioè preservarla dal male.

6 E la donna vide che l’albero era buono da mangiare, che era piacevole agli occhi e che l’albero era desiderabile per rendere uno intelligente; ed ella prese del suo frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò. 7 Allora si apersero gli occhi di ambedue e si accorsero di essere nudi; così cucirono delle foglie di fico e fecero delle cinture per coprirsi.

La bellezza e profondità di questo brano della Scrittura rende innumerevoli il numero di pagine che si possono scrivere per descriverlo o analizzarlo.

La donna guarda il frutto: il peccato diventa bello. Prima forse non l’aveva davvero preso in considerazione. Ora lo guarda e diventa, ai suoi occhi, attraente, invitante. Mangiarlo diviene occasione di  risvolti positivi, ora lei vuole conoscere il bene ed il male. Ci riflette, quindi. Vaglia la cosa. I suoi sensi ed il suo intelletto ne sono sedotti prima, coinvolti poi. E mangia del frutto. Non solo ne mangia lei, ma lo fa mangiare anche al marito.

Di colpo, come un bimbo di due anni che in un attimo diviene un adulto, gli occhi degli uomini divengono maliziosi e si accorgono subito di un primo cambiamento non nella realtà che li circonda, bensì nella loro percezione della stessa: sono nudi. Cercano quindi di riparare alla menopeggio e si coprono. Da sempre facciamo errori e vi rimediamo meglio che possiamo. Meglio che possiamo implica: in maniera imperfetta e transitoria.

Sarà che la narrazione della Genesi sembra un po’ troppo ingenua e semplice all’uomo del ventunesimo secolo. Ma se davvero è così, come mai descrive perfettamente le nostre malefatte quotidiane, perpretate nella stessa ingenua o addirittura stupida maniera?

Ho riflettuto tanto su questa caratteristica della Bibbia.

Non credo vi sia una sola possibile descrizione per spiegare lo stile narrativo biblico in questo brano come in altri.

Mio padre mi spinse a studiare ragioneria da giovane e per anni ho fatto il lavoro di contabile e se c’è una cosa che ho imparato è che su ogni disquisizione teorico-filosofica prevale l’importanza del risultato. Se per millenni questa spiegazione sull’origine del male ha parlato ad uomini vissuti in epoche ed in luoghi distantissimi l’uno dall’altro, se così poche parole riescono a dire e spiegare così tanto, allora siamo davanti alla maniera giusta per veicolare la Rivelazione di Dio all’uomo.

Tante euridite e complesse denigrazioni elaborate in passato contro la Scrittura sono cadute nel dimenticatoio, divenute obsolete e superate, inutili in ogni senso. Lo saranno domani quelle elaborate oggi. Ma io credo che “la Parola del Signore rimane in eterno” (1 Pietro 1:25)

Ascoltavo Bob Dylan in auto. Una delle sue più belle canzoni è Hurricane. Con le sue rime e le sue note, in pochi minuti, riesce ad essere così incisivo! Un libro di duecento pagine scritto con paroloni, non potrebbe essere altrettanto efficace. Allora, anche la Bibbia, con questo suo linguaggio semplice, con la sua ritmica schematicità risulta davvero efficace come mi riesce difficile immaginare potrebbe essere se fosse narrata in qualsiasi altro modo.

8 Poi udirono la voce dell’Eterno DIO che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell’Eterno DIO fra gli alberi del giardino.

Questa scena è stupenda. Dio cammina nel giardino alla ricerca dell’uomo. Abbiamo davvero toppato: per un frutto abbiamo perso di passeggiare e conversare con il nostro creatore.

9 Allora l’Eterno DIO chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Egli rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura perché ero nudo, e mi sono nascosto». 11 E DIO disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero del quale io ti avevo comandato di non mangiare?». 12 L’uomo rispose: «La donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 E l’Eterno DIO disse alla donna: «Perché hai fatto questo?». La donna rispose: «Il serpente mi ha sedotta, e io ne ho mangiato».

Quante volte ho visto scene simili. Tutti a dare la colpa agli altri per le proprie misfatte. Ho conosciuto poche persone capaci di assumersi le proprie responsabilità. Ricordo in terza elementare la maestra tornava dalla pausa caffè e tutti a negare di aver fatto il monello. Pensavo che con gli anni sarebbe cambiato tutto, ma trent’anni dopo il mio capo sbaglia una cosa, l’altro mio capo dice: “Giuseppe che hai combinato?” Dando la colpa a me. E l’altro, zitto, non ha avuto il coraggio di assumersi la sua responsabilità. Più che indispormi, la cosa mi ha fatto ridere. Ricordo poi quella volta quando il commercialista aziendale, pensando di non essere sentito, dava a noi all’amministrazione la colpa di errori suoi. E così via. Che delusione quando da piccolo sono diventato grande e ho potuto amaramente constatare che non solo con gli anni non si migliora, ma gli errori diventano solo più grandi ed i tentativi di coprirli più ridicoli e patetici.

14 Allora l’Eterno DIO disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sii maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le fiere dei campi! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. 15 E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno». 16 Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue sofferenze e le tue gravidanze; con doglie partorirai figli: i tuoi desideri si volgeranno verso il tuo marito, ed egli dominerà su di te». 17 Poi disse ad Adamo: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero circa il quale io ti avevo comandato dicendo: “Non ne mangiare”, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con fatica tutti i giorni della tua vita. 18 Esso ti produrrà spine e triboli, e tu mangerai l’erba dei campi; 19 mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto; poiché tu sei polvere, e in polvere ritornerai». 20 E l’uomo diede a sua moglie il nome di Eva, perché lei fu la madre di tutti i viventi.

Questa è la parte più brutta: arriva il momento di subire le conseguenze per ciò che abbiamo fatto. Le subiamo noi e chi ci circonda. Se sbaglio io purtroppo pagano anche mia moglie ed i miei figli. Se non rispetto i segnali stradali sfascio una macchina in un incidente e rischio di far male a qualcuno. Se inquiniamo senza curarci del pianeta non possiamo pensare di cavarcela senza che l’intera umanità paghi. Se siamo ciechi egoisti, non ce la dobbiamo prendere se non con noistessi quando finiamo per essere soli. Se diamo un pugno nel muro ci faremo male ad una mano. Se mentiamo a raffica prima o poi noi stessi e chi ci sta intorno piangeremo le conseguenze.

La maledizione sul creato e sull’umanità è inevitabile conseguenza del nostro aver scelto di fare a modo nostro.

Anche oggi Dio dà i suoi comandamenti, ma oggi ci indispone persino l’idea di dover obbedire a qualcosa o qualcuno. Ci rendiamo conto che lo stato dell’uomo odierno è frutto della medesima disobbedienza dei nostri progenitori?

Anche oggi, forse più consapevolmente di allora, scegliamo di cogliere il frutto, vogliamo essere noi a decidere cosa è bene e cosa è male, affidare al nostro giudizio ciò che è giusto o sbagliato. Millenni di storia testimoniano che questa condotta non porta da nessuna parte. Sia individualmente che collettivamente. Credo di non dire nulla che non sia sotto gli occhi di tutti o meglio, come diceva Craxi, “non lo vede solo chi non lo vuole vedere.“

 21 Poi l’Eterno DIO fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì.

Dopo aver parlato della conseguenza del peccato dell’uomo, Dio stesso, come un genitore amorevole davanti ad un figlio messosi nei guai, si interessa attivamente per trovare una soluzione riparatoria.  Dio mostra subito  all’uomo che i suoi tentativi per rimediare alla sua condizione non sono sufficienti. Il semplice rimedio della foglie di fico non basta. La redenzione dell’uomo non sarà così semplice ed indolore e non potrà avvenire senza l’intervento determinante del creatore. Dio uccide un animale innocente per coprire l’uomo e la donna. Così facendo preannuncia che un innocente dovrà pagare con la sua vita affinché l’uomo sia davvero redento. Profeticamente viene qui annunciata – millenni prima – l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua morte per la nostra salvezza. É proprio il dialogo fra Dio Padre e Dio Figlio che porta alla conversazione che segue.

22 E l’Eterno DIO disse: «Ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi, perché conosce il bene e il male. Ed ora non bisogna permettergli di stendere la sua mano per prendere anche dell’albero della vita perché, mangiandone, viva per sempre». 23 Perciò l’Eterno DIO mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. 24 Così egli scacciò l’uomo; e pose ad est del giardino di Eden i cherubini, che roteavano da tutt’intorno una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita.

Allontanato per sempre dal luogo della sua originaria pace e gioia comincia il lungo cammino dell’uomo verso la sua opportunità di redenzione.

Il resto della storia la stiamo scrivendo noi ed é già tutta narrata nelle pagine della Bibbia che seguono a quelle sulle quali abbiamo appena meditato.

 

Destino ed ineluttabilità degli eventi

di Giuseppe Guarino

È stato sconvolgente leggere il resoconto dello storico giudeo Giuseppe Flavio circa l’epilogo della rivolta giudaica che portò nel 70 d.C. alla distruzione del tempio e della città di Gerusalemme. Egli riporta che il numero delle vittime di quella catastrofe fu di oltre 1.300.000 persone. Tremenda fu in particolare la sorte di coloro i quali, dopo la distruzione di Gerusalemme, si erano arroccati nella fortezza di Masada. Questi, infatti, decisero, dopo un ultimo accorato discorso del loro leader, di suicidarsi in massa pur di non cadere in mano dei romani.

Per chi conosce la Bibbia ed ha letto di come Gesù profetizzò innanzi tempo la distruzione del tempio e della città di Gerusalemme e del fatto specifico che questi due eventi sono direttamente collegati alla reiezione del Messia da parte della nazione di Israele, questo ultimo fatale discorso fatto a Masada da parte di un giudeo assume dei toni davvero molto significativi. Riporta così Giuseppe Flavio: “Avremmo fatto meglio ad intuire il proposito di Dio molto prima … e comprendere che lo stesso Dio che anticamente aveva avuto in favore la nazione giudaica, l’ha adesso abbandonata alla distruzione; perché se avesse continuato ad esserle favorevole o se non fosse stato tanto dispiaciuto di noi, egli non avrebbe permesso la distruzione di così tanti uomini e avrebbe liberato la città santa dal fuoco e dalla distruzione che è avvenuta per mano dei nostri nemici”. Dalla “Guerra Giudaica”, citata nel libro “Readings from the First Century World” edito da Walter A. Elwell e Robert W. Yarbrough, pag. 53-54.

Vi è un senso di ineluttabilità di chi nel commentare questo o quell’evento sospira: “era destino che andasse così!”

Davanti ad una morte prematura, spesso si sente dire: “era il suo destino, era destinato così”.

Nel piangersi addosso di alcuni davanti all’ennesima svolta negativa nella propria vita si sussurra rassegnati: “è il mio destino, la mia sorte”.

L’esistenza o meno di un Destino all’interno delle vicende umane è un problema squisitamente filosofico. E come  nella Bibbia, che non è un libro filosofico ma è, invece, sempre diretta alle ripercussioni pratiche delle cose, nella mia mente la riflessione origina da una domanda:

– Credi nel Destino?

Ebbene, se credi nel Destino, sappi che Dio è Signore e Padrone anche di quello!

In pratica ed in maniera definitiva, apprendiamo dalla meditazione della Sacra Scrittura, che non esiste un “Destino” come molti lo intendono, cioè come il percorso inevitabile degli eventi, semplicemente perché Dio è Signore di ogni cosa e di ogni evento.

Un medesimo modo di dibattere sulle credenze popolari lo incontriamo negli scritti di Paolo, nella sua epistola ai Colossesi. Qui egli discute della complessa cosmologia gnostica, della contemplazione di “emanazioni divine” da Dio immaginata dai sostenitori di questa eresia. Paolo non ne confuta le dottrine o il pensiero; sembra invece opporre, con sottile intelligenza, un ragionamento molto semplice, nel quale è come se dicesse: “inventatevi tutte le genealogie celesti che volete, Cristo è sempre al di sopra di tutto e di tutti e Lui solo vale la pena conoscere e servire.”

La risposta di Paolo evita una polemica difficile, lunga e forse anche inutile, e ribadisce con fermezza la devastante semplicità della fede cristiana.

Egli – Gesù – è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui”.

(Colossesi 1:15-17)

Per dimostrarci con un linguaggio incredibilmente semplice – è un pregio della Scrittura, non un suo limite – che non esiste alcun decreto immutabile sulla sorte di nessuno, la Bibbia spesso ci parla di Dio che si “pente” di ciò che ha fatto o di ciò che sta per fare e decide di tornare sui suoi passi, cambiando opinione sul da farsi su questa o quella questione. In parole povere, se apprendiamo dalla Parola di Dio che Dio stesso può “cambiare idea”, allora possiamo concludere che il corso degli eventi, apparentemente immutabile, può invece essere cambiato e che, quindi, per logica conseguenza, non vi è nulla di inevitabile.

Vediamo qualche esempio biblico di ciò che dico

In quel tempo Ezechia si ammalò di una malattia che doveva condurlo alla morte. Il profeta Isaia, figlio di Amots, andò da lui, e gli disse: “Così parla il SIGNORE: Dà i tuoi ordini alla tua casa; perché tu morirai; non guarirai”. Allora Ezechia voltò la faccia verso il muro e pregò il SIGNORE, dicendo: “SIGNORE ricòrdati, ti prego, che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro, e che ho fatto ciò che è bene ai tuoi occhi”. Ezechia scoppiò in un gran pianto. Isaia non era ancora giunto al centro della città, quando la parola del SIGNORE gli fu rivolta in questi termini: “Torna indietro, e di’ a Ezechia, principe del mio popolo: “Così parla il SIGNORE, Dio di Davide tuo padre: Ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime; ecco, io ti guarisco; fra tre giorni salirai alla casa del SIGNORE. Aggiungerò alla tua vita quindici anni, libererò te e questa città dalle mani del re di Assiria, e proteggerò questa città per amor di me stesso, e per amor di Davide mio servo”.

(2 Re 20:1-6)

La preghiera di Ezechia cambiò il suo “destino”! Isaia gli aveva annunciato la sua morte con parole molto forti: “Così parla il Signore”, aveva detto il profeta. Nonostante questo, però, la preghiera di Ezechia fa mutare il consiglio stesso di Dio e il Signore lo guarisce concedendogli quindici anni in più da vivere.

E’ difficile sopravvalutare il potere della preghiera, quando vediamo che può influenzare gli stessi decreti di Dio. Questo deve farci comprendere che possiamo cambiare la nostra vita e la vita di coloro che stanno intorno a noi, possiamo cambiare le situazioni, possiamo volgere le circostanze a nostro favore!

La preghiera fa la differenza nella vita di un uomo, perché tramite la preghiera invitiamo Dio nella nostra vita con tutto ciò di positivo che la sua presenza implica.

La differenza fra Giuda e Pietro – come fra chi crede e chi non crede – non è poi così marcata: è una preghiera di ravvedimento a fare la differenza. Un cuore che capisce di avere peccato, si appella alla grazia di Dio per il perdono e la riconciliazione con il Padre – così fece Pietro. Giuda non pregò, ravvedendosi di quanto aveva fatto, ma disperato, senza fiducia nella grandezza di Dio, nella sua Grazia, nel suo perdono, seppe solo suicidarsi.

Tanto è lontana la salvezza dall’uomo: una preghiera!

Torniamo al tremendo evento che abbiamo citato all’inizio, la distruzione di Gerusalemme. Eusebio di Cesarea, storico della Chiesa del IV secolo, narra che i cristiani residenti a Gerusalemme furono divinamente avvertiti della distruzione che da lì a poco sarebbe avvenuta ed abbandonarono la città. Eppure io sono certo che l’intero popolo avrebbe potuto essere risparmiato: sarebbe stato sufficiente credere al messaggio degli apostoli.

E’ vero quindi che Dio sa e conosce ogni cosa, passato, presente e futuro. Ma chiamare in causa il “destino” o la “sorte” come responsabili per gli eventi della nostra vita non solo è troppo facile, ma è anche e soprattutto stupido (mi si perdoni questo termine), perché significa soltanto “gettare la spugna”.

Riconoscendo, invece, che Dio è Padrone e Signore di ogni cosa – anche di quello che gli uomini chiamano “Destino” – rivolgendoci a Lui, possiamo cambiare il corso degli eventi a nostro favore e permettere al Signore di fare la differenza nella nostra vita.

Maggio 2011